Essere o non essere…..un’ostrica..

ATTO SECONDO

SCENA TERZA – Il giardino di Lionato

(Entra BENEDETTO con un ragazzo)
 
 

BENEDETTO: Ragazzo!

RAGAZZO: Signore?

BENEDETTO: Sul davanzale in camera mia c’è un libro, portamelo qui in giardino.

RAGAZZO: Son di già qui, signore.

BENEDETTO: Lo so che sei qui, ma io vorrei che tu ci fossi ritornando di là. (il Ragazzo esce) Mi meraviglio assai che un uomo dopo aver visto quanto stupido è uno che consacra all’amore le sue azioni, e dopo aver anche riso di quelle vane scempiezze negli altri, diventi l’oggetto della propria canzonatura innamorandosi lui: e tale uomo è Claudio. Io l’ho conosciuto che non voleva sentire altra musica che il tamburo e il piffero, e ora preferisce il tamburino e la musetta; l’ho conosciuto che avrebbe fatto dieci miglia a piedi per vedere una bella armatura, ed ora starebbe dieci notti sveglio a tagliarsi una nuova foggia di giustacuore. Parlava chiaro e spiccio, da uomo onesto e da soldato, ed ora si è messo a parlare in punta di forchetta; le sue parole sono un banchetto fantastico, un piatto strano dopo l’altro.

Dovrò convertirmici anch’io e veder con tali occhi? Non si sa mai, ma non credo. Non posso giurare che l’amore non mi trasformi in un’ostrica, ma posso giurare che finché non mi ha trasformato in un’ostrica non farà mai di me un tale sciocco. Una è bella, grazie, sto bene, una è saggia, grazie, sto bene, una è virtuosa, grazie, sto bene lo stesso; e finché tutte le grazie non sian riunite in una donna sola, una donna non entrerà nelle mie. Ricca deve essere di certo, saggia o non la voglio, virtuosa o non la contratto, bella o non la guardo, dolce o non me la lascio avvicinare, graziosa o non le do una crazia; deve saper parlar bene, sonar meglio e poi i suoi capelli sian di qualunque colore che piace a Dio! Ah, ecco il principe e Messer Cupido… Mi nasconderò nella pergola.

(Entrano DON PEDRO, LIONATO, CLAUDIO e BALDASSARRE con dei Sonatori)

DON PEDRO: Su, vogliamo sentir questa musica?

CLAUDIO: Sì, mio buon signore; che serata tranquilla! sembra proprio che taccia per secondare l’armonia.

DON PEDRO: Vi siete accorto dove s’è nascosto Benedetto?

CLAUDIO: Oh, benissimo, signore, appena finita la musica, daremo il contentino alla volpe rimpiattata.

DON PEDRO: Via, Baldassarre, vorremmo risentir la canzone.

BALDASSARRE: Oh, mio signore, non obbligate questa pessima voce a calunniar la musica più d’una volta!

DON PEDRO: E’ sempre una prova d’eccellenza il dissimulare la propria perfezione. Te ne prego, canta senza farti fare ancora la corte.

BALDASSARRE: Se parlate di corte canterò subito, dato che spesso i corteggiatori cominciano col corteggiare proprio quelle che non stiman degne; e tuttavia essi corteggiano e giuran d’amare.

DON PEDRO: Su, per piacere, canta, o se vuoi sostenere ancora la discussione sostienila con le note.

BALDASSARRE: Prima d’udir le mie note, notate che non c’è una mia nota degna d’esser notata.

DON PEDRO: Per capirlo ci vuol proprio la chiave! Non gli è nota né nota né nulla.

BENEDETTO: Oh, divina aria! Ecco che la sua anima è rapita! Non è strano che le minugia di una pecora tirino fuori l’anima dal corpo di un uomo? Be’, un corno per il mio gusto, in fin dei conti!

BALDASSARRE (canta):

 

Donne, non val la pena a sospirare, gli uomini furon sempre ingannatori,

con un piede sul lido e l’altro in mare, mai furono fedeli ai loro amori.

Non gemete, non piangete quando un uomo se ne va:

sempre belle e sempre liete cantate invece un bel trallerallà.

Non cantate canzoni appassionate, non sospirate pene amare e doglie:

le donne sempre furono ingannate dacché la primavera ebbe le foglie.

Non gemete, non piangete quando un uomo se ne va:

sempre belle e sempre liete cantate invece un bel trallerallà.

 

DON PEDRO: In fede mia, una buona canzone.

BALDASSARRE: E un cattivo cantore, signor mio.

DON PEDRO: No davvero. Tu canti abbastanza bene per un ripiego.

BENEDETTO (a parte): Se fosse stato un cane a ululare a quel modo l’avrebbero appiccato. Dio non voglia che la sua vociaccia non presagisca sventura: avrei preferito sentir gracchiare il corvo, qualunque malanno avesse potuto seguire.

DON PEDRO: Sì, benone. Ehi, Baldassarre hai capito? Ti prego, procuraci dei musicisti eccellenti, perché domani notte facciamo musica sotto la finestra della signora Ero.

BALDASSARRE: I migliori che potrò, mio signore.

DON PEDRO: Va bene, arrivederci. (Baldassarre esce) Venite qui, Lionato. Cosa mi dicevate oggi, che vostra nipote Beatrice era innamorata del signor Benedetto?

CLAUDIO: Sotto sotto, l’uccello s’è posato. Non avrei mai creduto che quella signora si sarebbe mai innamorata d’alcuno.

LIONATO: Nemmen io, ma la cosa più bella è che sia andata a invaghirsi del signor Benedetto quando, in tutto il suo contegno apparente, sembrava invece che lo aborrisse.

BENEDETTO (a parte): E’ possibile? il vento tira da quella parte?

LIONATO: In fede mia, signore, io non so che pensarne, se non che essa lo ama furiosamente: è cosa da sbalordire.

DON PEDRO: Forse finge.

CLAUDIO: E’ più che probabile.

LIONATO: Dio mio! fingere! Non c’è mai stata passione finta che sia giunta vicina tanto alla vera vita della passione come quella di cui essa dà segno.

DON PEDRO: E che segni di passione dà?

CLAUDIO: Innescatelo bene quell’amo: il pesce abbocca.

LIONATO: Che segni mio signore? Ella vi riman seduta… (A Claudio) A voi mia figlia l’ha raccontato.

CLAUDIO: Infatti.

DON PEDRO: Come, come? Voi mi fate trasecolare. Avrei creduto che il suo spirito sarebbe stato invincibile contro gli assalti dell’amore.

LIONATO: Anch’io, mio signore, l’avrei giurato E specialmente nei riguardi di Benedetto.

BENEDETTO (a parte): Penserei ad una beffa se non fosse uno con la barba bianca a dirlo. La furfanteria non può nascondersi sotto tanta maestà.

CLAUDIO: Gli si è appiccicato il contagio, tenete duro.

DON PEDRO: E l’ha fatto sapere il suo amore a Benedetto?

LIONATO: No, e giura che non lo farà mai. Questo è il suo tormento.

CLAUDIO: E’ vero. Come dice la vostra figliuola. “Posso io dice Beatrice – dopo avergli dimostrato tanto disprezzo scrivergli ora che l’amo?”.

LIONATO: Così dice lei quando comincia a scrivergli; poiché in una nottata si alza venti volte e resta seduta in veste da camera finché non ha coperta una pagina. Mia figlia ci racconta tutto.

CLAUDIO: A proposito di coperta: mi ricordo di un bello scherzo che ci ha raccontato vostra figlia.

LIONATO: Quello che quando ebbe chiuso la lettera e l’aprì per rileggerla trovò che sotto la coperta Beatrice e Benedetto stavan piegati l’uno sull’altra?

CLAUDIO: Quello.

LIONATO: Oh, strappò la lettera in mille minuzzoli, si rimproverò d’esser stata così immodesta da scrivere a chi sapeva che l’avrebbe beffata. “Lo misuro dal mio stesso spirito diceva anch’io lo befferei se mi scrivesse. Benché lo ami lo befferei”.

CLAUDIO: Dopo si butta in ginocchio, piange, singhiozza, si batte il petto, si strappa i capelli, prega, impreca: “Oh, Benedetto, amor mio!

Oh Dio, datemi voi pazienza!”.

LIONATO: Proprio così, mia figlia me lo racconta: e questa frenesia l’ha tanto presa che mia figlia qualche volta ha paura che faccia qualche atto disperato contro di sé; è verissimo.

DON PEDRO: Sarebbe bene che qualcuno lo dicesse a Benedetto se non vuol dirglielo lei.

CLAUDIO: A che scopo? Lui se ne riderebbe e tormenterebbe anche di più quella povera donna.

DON PEDRO: Se lo facesse sarebbe un atto meritorio impiccarlo. E’ una carissima donna e fuor d’ogni sospetto virtuosa.

CLAUDIO: Ed è oltremodo saggia.

DON PEDRO: In ogni cosa, fuorché nell’amar Benedetto.

LIONATO: Oh, signore! Se la saggezza e la passione combattono in un così tenero corpo, abbiamo dieci prove contro una che la passione la vince. Mi dispiace per lei, e ne ho ben ragione, come suo zio e suo tutore.

DON PEDRO: Io vorrei che avesse preso per me questa cotta. Avrei messo da parte ogni rispetto e avrei fatto di lei la mia metà. Vi prego di dirlo a Benedetto e vediamo quello che dice lui.

LIONATO: Sarebbe bene, che vi pare?

CLAUDIO: Ero pensa che di certo ne morrà: perché ella dice che se lui non l’ama ne morrà e che morrà prima di fargli sapere che l’ama, e morrà se lui le farà la corte, piuttosto che diminuire d’un ette la sua scontrosità consueta.

DON PEDRO: Fa bene, perché se ella gli offrisse il suo amore è probabile che la disprezzerebbe: voi sapete quanto costui sia sprezzante.

CLAUDIO: E’ però un uomo in gamba.

DON PEDRO: Ha anche un aspetto piacente.

CLAUDIO: Affediddio, a mio parere è anche saggio.

DON PEDRO: Mostra infatti qualche favilla di buon senso.

CLAUDIO: E poi lo ritengo un valoroso.

DON PEDRO: Quanto Ettore: questo ve l’assicuro: e nel trattare le brighe voi potete dire che è saggio, poiché o le scansa con gran discrezione o vi s’impegna con timor di Dio.

LIONATO: Se ha timore di Dio, per forza deve amar la pace, o, se infrange la pace, dovrebbe entrare in una rissa con timore e spavento.

DON PEDRO: E così fa Benedetto: perché timor di Dio ne ha molto, per quanto da certi scherzi un po’ liberi che suol fare qualche volta non sembri. Bah, mi dispiace per vostra nipote. Si deve cercar Benedetto e dirgli di quest’amore?

CLAUDIO: Mai, per carità, mio signore. Lasciate che questa passione si consumi da sé col rifletterci.

LIONATO: E’ impossibile. Beatrice consumerà prima il suo cuore.

DON PEDRO: Va bene, sentiremo prima ancora vostra nipote: lasciamo che intanto questa cosa si raffreddi. Io voglio bene a Benedetto e vorrei che egli si esaminasse senza orgoglio e s’accorgesse di quanto egli è indegno di una fanciulla così buona.

LIONATO: Signore, vogliamo andare? Il pranzo è servito.

CLAUDIO: Se dopo ciò lui non diventa pazzo per lei, non crederò più a me stesso.

DON PEDRO: La stessa rete tendiamola a lei, e questo sarà compito di vostra figlia e della sua damigella: il divertimento sarà quando ognuno di loro crederà che l’altro impazzisca per lui e non sarà niente di tutto questo: quella è una scena che voglio godermi, e sarà una pantomima soltanto. Ora mandiamo Beatrice a chiamarlo a pranzo.

(Escono Don Pedro, Claudio e Lionato)

BENEDETTO (facendosi avanti): Non può essere una beffa, parlavan sul serio: la verità l’hanno saputa da Ero. Sembra che a loro faccia compassione la donna, pare che il suo amore abbia pieno corso. Amarmi!

ecco, bisognerebbe ricompensarla. Ho sentito come mi giudicano: dicono che mi comporterei da orgoglioso se mi accorgessi che l’amore venisse da lei: dicono che piuttosto morrebbe che darmi un segno d’affetto. Io non ho mai pensato a sposarmi, ma non voglio mostrarmi orgoglioso; felici coloro che intendono parlar male di sé, così possono correggersi. Dicono che la ragazza è bella… è anche vero. Io posso testimoniare; e virtuosa e non posso dire il contrario; e anche saggia, se non fosse che ama me: in fede mia questa non è una grande prova di spirito, ma nemmen di follia, perché anch’io m’innamorerò pazzamente di lei. Mi daranno addosso forse con lazzi e stoccate perché tanto tempo ho inveito contro il matrimonio: ma che l’appetito forse non cambia? Da giovani si è ghiotti di un piatto e da vecchi non lo si può soffrire. E dovrebbero le facezie e le sentenze e simili proiettili di carta lanciati dal cervello distogliere un uomo dall’inclinazione del suo umore? No: crescete e moltiplicatevi: quando io dicevo che sarei morto scapolo non credevo che sarei giunto in età da sposarmi. Ecco Beatrice, lode a Dio, sì che è bella! Mi par di scorgerle sul viso dei segni d’amore.

(Entra BEATRICE)

BEATRICE: Contro ogni mia volontà mi si manda a pregarvi di venire a pranzo.

BENEDETTO: Bella Beatrice, vi ringrazio per la pena che vi siete presa.

BEATRICE: Io non mi son presa pena per esser ringraziata, più di quanto non ve ne prendiate voi a ringraziarmi: se mi fosse stato penoso non sarei venuta.

BENEDETTO: Allora avete preso piacere a questa imbasciata?

BEATRICE: Quanto se ne potrebbe prendere sulla punta d’un coltello, e soffocarci un cornacchino. Ma, signor mio, voi non avete appetito.

State bene.

(Esce) BENEDETTO: Ah! “Contro ogni mia volontà mi si manda a pregarvi di venire a pranzo”; qui c’è un doppio senso. “Io non mi son presa pena per esser ringraziata più di quanto non ve ne prendiate voi a ringraziarmi”. Sarebbe come dire: ogni pena che io mi prenda per voi è leggera come un ringraziamento. Se io non mi impietosissi di lei sarei un malvagio; se non l’amassi, sarei un giudeo. Mi procurerò il suo ritratto.(Esce)
 
 
Molto rumore per nulla – Atto II, Scena Terza –  W. Shakespeare
 

2 responses to this post.

  1. Ma è lunghissimooooooooooo

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  2. Ma è belloooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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